Juana Castro

      (Villanueva de Córdoba, España, 1945)

 

 

    Alternativa

 La tentazione è amore

                                  o cioccolato.

L’assuefazione è grave

                                    se manca il palliativo.

Se un medico, demonio od alchimista

sapesse del mio male

                                    cosa mi costerebbe

girare tutto il mondo per curarmi!

Perché solo una droga

                                    col suo carcere

dal ricordo dell’altra mi sottrae.

Ed ancora una volta, ecco il conflitto:

O mi mangia l’amore,

o questa notte muoio di dolcetti.

 

 

 

  Sex-shop

 Ho una coscia per te messa da parte.

Di oro dolce, dalla caviglia sale

lunga, lunga la carne e soda

e indugiare potresti con le dita, senza arrivare mai.

Ferma. Ferma come a te piace, immobile.

Non parla, non vacilla, non grida.

Non si prolunga, inutile,

nei fianchi, non ha occhi né presenza.

Son due linee perfette, soavissima

la curva, come un petalo di luce o di follia.

Ha una calza di seta,

un tacco a spillo,

e superato il cavo del poplite fragrante,

col suo fiocco e la gemma, una sanguigna

giarrettiera. E alla fine,

nel punto in cui il volume

si presenta allo sguardo densamente,

scendono ornati e neri di merletto

i lacci della fascia. Carezzevole,

è una coscia di sogno

e bella come un idolo, potresti

distenderla su un tavolo e toccar tutti i pori,

su tappeti e in lenzuola goderla lungamente.

È qui, nel suo astuccio di raso.

È una coscia, lo sai,

per tutta la tua vita o un po’ di più.

 

                             (Da Alada mía)

 

 

Aquaria

 Da ogni parte pioveva lungamente.

Piovevan dolci gocce sul suo dorso,

miele di vene azzurre i suoi capelli,

arco cieco del mare.

Il rosa delle natiche svanito,

umida luce, chiara

porosità di neve dei suoi zigomi.

Fiumi, mare, cascate

che inondano le braccia e le caverne,

e rondine il suo sguardo sopra l’orlo.

Liquida piove, liquida

s’immerge nelle alghe

e una rosa di iodio, come una finestra

le fioriscenel sangue.

 

 

                       (Da Narcisia)

 

 

  Della frattura del falco

Come se a un tratto il mare

m’invada la finestra e dentro il muro

apra un sole la schiuma,

sono uscita per strada, ed ho gridato

in silenzio il tuo nome.

                                    Chi mai sente

morire un giglio? Mentre sto mordendo,

coi miei piedi nel polline,

tutto il dito del mare,

c’è chi vive e stanotte

a nascere riprende.

Convalescente e rotta, mi son guardata e detta:

Ridi delle tue gambe

e ai miracoli credi.

                            Perché posso

andar di nuovo senza te, e non cado.

 

                       (Da Arte de cetrería)

 

 

 

  Calice

E ora sono

così uguale a te, madre,

che non mi riconosco dentro il vetro

di quel ritratto tuo così presente.

Se sapessi che tutto

quel che di te ho odiato e maledivo

adesso in me lo scopro

così esatto e recente come il cerchio

d’una pietra nell’acqua, ripetuta.

Vengo ancora a vederti.

Toccami, e le mie dita

metti qui sopra le tue piaghe, ed aprimi

questa rosa di spine nel costato.

Son così tua che il mare la tua voce

per il suo canto copia dalla mia.

E mi sveglio e a quest’ora stessa vivo

quella tua immensa sete, que per sempre

nelle tue ossa vuote

ardeva irrimediabile.

Non sono il tuo fantasma,

voglio, risuscitata, ora crearti

nel filo di chi il mio essere t’ha dato.

Da morta a morta dimmi:

Chi sta allattando chi, serpente mio?

 

                      (Da No temerás)

 

 

respiro@2000-2004 All rights reserved